Pignoramento dello stipendio 2020: cosa dice la legge?

Se il creditore non trova soddisfazione per i propri crediti tra le varie strade possibili può intraprendere anche quella del pignoramento dello stipendio. Si tratta di una misura prevista dalla legge, che impone dei limiti differenti a seconda del “tipo di creditore”. Parliamo di una soluzione atta a tutelare da una parte i diritti dei creditori e dall’altra il diritto al mantenimento per il debitore e per la sua famiglia.

Nel corso degli anni, le varie leggi di bilancio hanno a volte confermato i limiti degli anni precedenti, e in altre occasioni hanno apportato qualche cambiamento sulle procedure. Rimane invece immutato il limite minimo valido come importo che non può essere ‘toccato’, che è parificato all’assegno della pensione sociale (approfondimenti: Prestiti per pensionati). Questo ‘importo’ viene indicato in via ufficiale da parte dell’Inps e per il 2019 è pari a circa 458 euro.

Da segnalare un possibile innalzamento di questa cifra in funzione dell’introduzione ufficiale della ‘pensione di cittadinanza’ (pari ad almeno 780 euro) anche se al momento non sono presenti ratifiche ufficiali da parte degli organi competenti. Vediamo più nel dettaglio quali sono i limiti 2019 e la procedura che viene applicata.

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Differenti limiti di quote


La legge prevede due quote relative al pignoramento dello stipendio che possono essere pari a:

  • 1/3 nel caso di pignoramento richiesto per gli alimenti dovuti per legge (ad esempio assegno di mantenimento riconosciuto al coniuge non pagato);
  • 1/5 per i debiti verso il datore di lavoro (derivanti dal rapporto di lavoro stesso) e per quelli legati ai tributi dovuti a enti o amministrazioni pubbliche come lo Stato, le province e i comuni.

Se il pignoramento viene richiesto dall’Agenzia Ente Riscossione (prima Equitalia) si dovranno rispettare questi ulteriori limiti:

  • pari a 1/10 se si tratta di importi fino a 2.500 euro;
  • pari a 1/7 per gli importi da 2.500 a 5.000 euro;
  • pari a 1/5 per gli importi da 5.000 euro in poi.

Trattandosi di pignoramenti sullo stipendio, si riferiscono logicamente agli emolumenti dei dipendenti. Va da sé che il pignoramento viene fatto valere direttamente presso il datore di lavoro, estromettendo ‘a monte’ il dipendente dalla quota che andrà a rimborsare progressivamente i creditori. Fa eccezione il caso in cui lo stipendio è già stato accreditato su un conto bancario o postale. In tal caso il pignoramento verrà comunicato all’Istituto di credito (o alla posta) perché provveda a bloccare la somma pari alla quota di pignoramento dello stipendio, per essere versata all’avente diritto.

N.B. L’applicazione dei differenti limiti valgono anche sulle altre forme di indennità lavorative, compreso il Tfr (approfondimenti: Anticipo TFS).

Quant’è il massimo pignorabile?

Se ci si sta domandando quale è la base sulla quale calcolare la quota “pignorabile”, la risposta è che non ci sono limiti massimi per l’importo dello stipendio pignorabile al netto delle trattenute legate a imposte dovute per legge. Quindi ad esempio su 1000 euro di stipendio netto, nel caso di un pignoramento di ⅕ il calcolo verrà fatto: 1000 : 5 (N.B. Non esiste quindi un minimo ‘vitale’ come previsto invece per le pensioni).

Vale solo una modesta eccezione applicata in funzione dell’assegno sociale, che però si applica solo nel caso di pagamento di stipendio con accredito su conto prima della procedura di pignoramento.

Cosa succede in caso di accredito già effettuato?

Come già evidenziato in più punti può accadere che la procedura di pignoramento si concluda e diventi esecutiva quando al debitore è già stato pagato lo stipendio. In questo caso entra in gioco un ulteriore limite legato all’assegno sociale. Per la precisione su uno stipendio già accreditato, la somma che dovrà/potrà essere pignorata (o base pignorabile) deve essere eccedente a un importo pari a 3 volte l’assegno sociale. Ad esempio se l’assegno sociale per l’anno di riferimento è di 500 euro, si potrà pignorare per l’importo che eccede 1500 euro.

N.B. L’applicazione dei differenti limiti valgono anche sulle altre forme di indennità lavorative, compreso il Tfr.

Cosa accade in caso di più pignoramenti?

Si può infine verificare l’ipotesi che a uno stesso debitore giungano diversi atti di pignoramento, che comunque non potranno avvenire nello stesso identico momento. Alla pari delle altre tipologie di pignoramento la procedura prevede infatti come primo atto l’obbligo da parte del creditore di comunicare l’atto di pignoramento all’ufficiale giudiziario che si occuperà della notifica al datore di lavoro oppure alla banca o alla posta.

Questo nel comunicare i diversi atti di pignoramento, lo dovrà fare secondo l’ordine con il quale sono stati comunicati a lui stesso in ordine cronologico. L’ufficiale del tribunale competente quindi a sua volta li notificherà seguendo la stessa cronologia.

Questo aspetto è importante perché, non essendo pignorabile una quota eccedente il quinto o il terzo dello stipendio (a seconda della natura del tipo di credito, come già accennato), i vari creditori non potranno essere soddisfatti tutti nello stesso momento o contestualmente. Quindi vale il principio dell’accordo tacito tra creditori, nel senso che ognuno dovrà attendere il proprio turno, che arriverà nel momento in cui il creditore che ha notificato prima l’atto di pignoramento è stato per intero soddisfatto.

Come eccezione a questo principio c’è solo il caso in cui si hanno pignoramenti plurimi derivanti da “diverse cause” (ad esempio da una parte il diritto del coniuge a ottenere gli alimenti, e dall’altra gli altri tipi di crediti). In questo caso potranno essere applicati diversi pignoramenti, ma purché non si vada a superare la percentuale del 50% dello stipendio netto (principio che si applica anche nel caso in cui ci sia una cessione del quinto già attiva sullo stipendio che viene sottoposto a pignoramento).